Come migliorare l’employer branding per gli Enti del Terzo settore

Esiste un equilibrio tra qualità della vita e condizioni di lavoro. Ed esiste un parametro per valutare l’immagine di sé, che un’organizzazione restituisce all’esterno, in termini di trattamento dei propri professionisti. In estrema sintesi: employer branding.

Si tratta, delle caratteristiche che rendono un determinato ente, un luogo in cui il lavoro è più piacevole e soddisfacente di altri. Anche e soprattutto, a parità di retribuzione. In altri termini, possiamo definire l’employer branding, come quell’insieme di attività che portino una risposta alla domanda: per quale motivo un professionista dovrebbe lavorare per noi?

Perché è importante?

Nel senso comune, il mercato del lavoro è un luogo dove i professionisti sono in competizione per ottenere l’impiego migliore. Ma proviamo a ribaltare la prospettiva: se fossero i datori di lavoro a competere tra loro per assicurarsi le prestazioni dei professionisti migliori? E ancora: a parità di risorse, come vincere questa competizione?

A supportare questo approccio, vi è il Global Recruiting Trends, una ricerca curata da Linkedin, relativa ai dati del 2017. In particolare, 4 HR manager su 5 ha risposto che, il primo discrimine per la ricerca del lavoro è il talento. Sembra chiaro, quindi, che i recruiter dovranno, sempre più, contendersi i migliori professionisti. E non il contrario. Il lavoratore, quindi, diventa soggetto attivo nella corsa al lavoro.

E per il non profit?

La mission del Terzo settore è orientato alla causa e non alla produzione di utili. Per questo motivo l’employer branding, per le organizzazioni non profit, è ancora più importante. Retribuzione equa, condizioni che favoriscono il ciclo vita-lavoro, qualità dell’ambiente di lavoro, in questo senso, sono requisiti imprescindibili per una Onp, in quanto ne confermano la propria credibilità.

Provate a immaginare. Un’associazione che si batte per il miglioramento delle condizioni di una determinata comunità e che, al tempo stesso, non fornisce un ambiente di lavoro equo e stimolante, può essere credibile? Ma, soprattutto: come può perseguire in maniera ottimale la propria missione, se non riesce a trattenere i migliori professionisti?

C’è un ultimo aspetto da tenere in considerazione, quando si parla di non profit: il ruolo dei sostenitori.

E’ dimostrato, ad esempio, che i consumatori prediligano acquistare prodotti da aziende con un alto employers branding. E questo è ciò che spinge molte realtà imprenditoriali a investire in comunicazione, per migliorare la propria visibilità in termini di trattamento dei lavoratori.

Tuttavia, la decisione d’acquisto può essere influenzata da altri fattori. Tra tutti, il prezzo del prodotto. Se la spesa è  molto vantaggiosa, il consumatore può arrivare a mettere da parte le proprie remore e acquistare ugualmente. Anche se l’employer branding non è soddisfacente.

Per donatori e sostenitori, invece, non è così. Quando si parla di supportare determinate cause, l’attenzione è molto alta e l’employers branding può diventare una variabile determinante.

Insomma, ottime condizioni di lavoro permettono alle organizzazioni di avere i professionisti migliori. Favoriscono la propria credibilità. E allargano la propria rete di sostenitori. Una win-win situation, dove etica e successo si alimentano in un circolo virtuoso.

Come migliorare l’employer branding di un’organizzazione?

Proviamo, ora, a sintetizzare alcune buone pratiche per sviluppare al meglio l’employer branding per la vostra organizzazione non profit. Dando per scontati, ovviamente, retribuzione commisurata al ruolo e orario di lavoro sostenibile.

In altri termini, come creare un luogo di lavoro ottimale e come comunicarlo all’esterno.

  • Ambiente di lavoro. Per prima cosa, ogni lavoratore deve sentirsi unico. Prendetevi del tempo per ringraziare i vostri dipendenti e premiarli, anche simbolicamente. Sottolineate i loro traguardi e aiutatili nei momenti di difficoltà. In altri termini: più leader, meno capi. Inoltre, ogni dipendente, di qualsiasi livello, deve sentirsi coinvolto nell’intero processo dell’organizzazione. Anche se, per qualcuno, potrebbe ricoprire ruoli poco professionalizzati.
  • Ciclo vita-lavoro. Ci sono delle priorità: un familiare ammalato è più importante di una riunione, ad esempio. Stabilite un sistema di lavoro e siate flessibili, per lo stesso motivo per cui chiedete ai vostri dipendenti di essere elastici.
  • Risoluzione dei conflitti. La diversità di vedute è inevitabile all’interno di un posto di lavoro. Così come lo sono i litigi. Ma l’ambiente deve essere il più rilassato possibile. Lo stress è nemico del buon lavoro. Cercate di prevedere una figura professionale ad hoc per la gestione dei conflitti.
  • Passaparola. Un lavoratore felice lo comunicherà alla sue rete e sarà un vostro sponsor. Sono sempre più frequenti, inoltre, le occasioni (formazione, workshop, festvial) in cui i professionisti si confrontano tra loro, fungendo da cassa di risonanza. Sfruttatele a vostro vantaggio.
  • Fate network con la comunità. Organizzate delle giornate per partecipare attivamente alle attività dei quartieri delle vostre sedi operative. Fatevi conoscere dai vostri vicini e fate conoscere il vostro lavoro e i vostri lavoratori.
  • Arrivederci e non addio. Quando un vostro dipendente decide cambiare lavoro, rispettate la sua decisione, ringraziatelo per il lavoro svolto e agevolate il più possibile la sua scelta di vita.
  • Storytelling. Includete i vostri dipendenti nelle vostre campagne di comunicazione digitali. Raccontate le loro storie alla vostra community. Potete partire creando, all’interno del vostro sito, una pagina con alcuni profili personali. Oppure registrare dei brevi video per lanciare una nuova campagna.
  • Crisis management. Non sempre tutto procede per il meglio. Potrà capitarvi di concludere un rapporto di lavoro in maniera burrascosa. Oppure di dover affrontare conflitti insanabili. L’importante è farsi trovare preparati. Studiate una policy interna sulla gestione delle crisi tra il personale o tra l’organizzazione stessa e i suoi dipendenti. Tracciate delle linee guida da tenere e, soprattutto, preparatevi bene il modo di comunicarla all’esterno. Una buona programmazione, spesso, fa la differenza tra successo e fallimento.

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