Onboarding: perché la tua non profit dovrebbe formare i neoassunti

Finalmente hai chiuso la selezione e trovato la persona giusta per quella posizione. Ma il tuo lavoro di HR non è certo finito. Bisogna preparare tutto per accogliere il neoassunto e fare in modo che si trovi bene fin dal primo giorno. 

Perché? Straordinari atti di gentilezza a casaccio?

Anche. Ma il motivo principale per investire il nostro tempo ed energie nella formazione di un neoassunto è un altro. Si chiama retention ed è un elemento strategico di importanza fondamentale per trattenere i talenti all’interno della tua organizzazione non profit. Un’azione di cui raccoglierai i frutti nel lungo periodo ma che, nell’immediato, aiuta la tua organizzazione nel creare un contesto di lavoro positivo sin dal primo giorno di lavoro. 

Un processo o un programma di onboarding è, infatti, fondamentale per far in modo che quel neoassunto diventi un ottimo collaboratore e decida di restare a lungo. 

Proviamo insieme a capire nel dettaglio perché fare onboarding è strategico per la tua organizzazione. 

 

#1 Cos’è l’Onboarding 

Partiamo dal definire questa parola presa a prestito dalla letteratura HR anglosassone.  

Il Cambridge Dictionary definisce l’onboarding come “il processo in cui i nuovi dipendenti acquisiscono le conoscenze e le competenze necessarie per diventare membri effettivi di un’organizzazione”. 

Tutti noi, almeno una volta, abbiamo vissuto i panni del neoassunto. Ci siamo ritrovati ad affrontare un processo di selezione lungo e faticoso e siamo poi arrivati alla nostra prima settimana del nuovo lavoro, entusiasti ma anche un po’ disorientati. 

Quando si viene assunti in una nuova organizzazione, la prima fonte di insoddisfazione si riscontra proprio nella mancanza di un programma di orientamento. O in un programma di formazione iniziale frettoloso e non ben organizzato in tutte le sue fasi. 

Un processo di onboarding efficace deve essere disegnato e pensato, invece, per fornire al neoassunto informazioni fondamentali per il suo inizio rispetto a più elementi: lo spazio di lavoro, le attrezzature comuni, la retribuzione, i benefit (se presenti), le aspettative e gli obiettivi del suo ruolo, i regolamenti e le procedure interne ecc. I nuovi collaboratori devono sapere cosa aspettarsi durante il loro primo giorno: chi incontreranno, cosa portare, come comportarsi, quali saranno le loro mansioni e come con il loro lavoro contribuiranno alla mission dell’organizzazione. E’ inoltre necessario che i nuovi assunti abbiano occasioni, sia online che offline, di conoscere i nuovi colleghi e la leadership dell’organizzazione e di presentarsi. Occasioni di socializzazione fanno sentire ben accolti i nuovi assunti e favoriscono la loro integrazione nel tessuto culturale della nostra organizzazione. 

Potremmo quindi dire che l’Onboarding inizia con il dare una prima buona impressione, prima ancora che la persona inizi a lavorare con noi, per poi trasformarsi nei primi mesi di lavoro in un programma strategico di formazione e mentorship volto a favorire performance nel medio e lungo periodo. 

 

#2 Onboarding o orientamento? 

In cosa, allora, un programma di onboarding si distingue da una formazione in entrata di orientamento? 

Nel caso di creazione di un processo di onboarding, l’inserimento dei nuovi collaboratori ha una funzione strategica. L’obiettivo è strutturare un piano di lungo termine che consenta alle persone di inserirsi al meglio nel contesto di lavoro. L’HR mette in gioco, in questo caso, una serie di tecniche e strumenti anche per monitorare il processo di inserimento e valutare le prestazioni periodicamente, aggiustando il tiro ai primi segni di disagio o di difficoltà del neoassunto o di chi lavora con quest’ultimo. 

L’induction o “orientamento” è uno degli step dell’Onboarding e, nella maggior parte dei casi, si realizza in una sola giornata di formazione base per fornire le informazioni preliminari riguardanti l’inizio del nuovo lavoro. 

In sintesi, mentre l’orientamento è il processo di formazione breve su compiti, doveri e responsabilità di lavoro del neoassunto ed è spesso un intervento spot di qualche ora o di un giorno, l’onboarding ha invece come scopo l’integrazione sociale e culturale della persone all’interno del tessuto organizzativo. Serve a far sentire le persone come “a casa”, sensazione non sempre immediata quando si inizia un nuovo lavoro. 

Si tratta di due aspetti comunque fondamentali all’inizio di un percorso lavorativo e vanno quindi integrati in modo efficace per il successo dell’inserimento. 

I vantaggi di un processo di onboarding sono molti e alcuni li abbiamo già accennati. Oltre a una migliore produttività della persona che è in grado di svolgere le sue mansioni in autonomia il prima possibile, un programma di onboarding ben pensato porta a un maggiore coinvolgimento rispetto alla cultura e ai valori dell’organizzazione. 

 

#3 Costruire il senso di appartenenza dal primo giorno

Per un’organizzazione non profit il vantaggio di avere uno staff orgoglioso di appartenervi e di lavorare per una mission ha l’effetto visibile sulla qualità dei progetti e dei risultati portati in campo ogni giorno. Un’organizzazione sana, dove le persone credono in quello che fanno, si riconosce a prima vista proprio quando incontri e parli con le persone che vi lavorano.

Per quanto creda nella mission e nei nostri valori, per un neoassunto integrarsi e sentirsi parte del nostro progetto non è sempre un processo immediato. Il neoassunto ha necessità del giusto supporto per sentire di aver fatto la scelta giusta lavorando per noi. Un ottimo inizio è proprio utilizzare un approccio positivo, trasparente, informativo e il più possibile interattivo sin dal primo giorno.   

Come fare? Partiamo da una lista base di azioni da personalizzare e arricchire in base alle vostre esigenze:

  1. Prepara un programma personalizzato di onboarding e fornisci un’agenda già definita con tutti gli incontri formativi che hai pensato;
  2. Coinvolgi il team in cui la persona verrà inserita per pensare alle attività formative relative alle sue mansioni e alle attività di benvenuto; 
  3. Pianifica degli incontri per presentare la nuova persona a tutto lo staff;
  4. Organizza degli incontri con qualcuno di ogni team in modo da dare una panoramica delle attività di ogni area;
  5. Prepara tutto l’occorrente per rendere il primo giorno indimenticabile, dall’organizzazione della postazione alla colazione (o happy hour) di benvenuto, fino al kit di benvenuto con gadget utili (zaino, borraccia, notebook, penne, piantine da scrivania ecc); 
  6. Assegna alla persona un mentor (detto anche buddy), una persona dello staff che conosce bene i valori dell’organizzazione ed è in grado di ispirare gli altri; il mentor sarà di supporto al neo assunto nelle prime settimane e diventerà un punto di riferimento “amico”; 
  7. Prevedi degli incontri di feedback periodici con il neoassunto per verificare che l’inserimento stia andando bene;
  8. Fissa un momento di feedback, sia se negativo che se positivo, alla fine del periodo di prova del neoassunto per capire com’è andata.    

 

#4 Quanto dura un programma di onboarding? 

C’è una durata ideale per l’onboarding dei neoassunti? La risposta è no. Può essere diversa e variare da organizzazione a organizzazione. Gli elementi da considerare per stabilire la durata del tuo piano sono: dimensioni, cultura interna e settore di un’organizzazione. 

Se la mia è una piccola organizzazione, potrei partire con un programma test di una settimana di onboarding cercando di inserire tutte le azioni prioritarie e preparando in anticipo il mio staff sulla necessità di supportare il nuovo collaboratore. Se parliamo di un’organizzazione grande e strutturata in grado di gestire processi più ampi, allora il piano potrebbe avere la durata di un anno e essere incluso all’interno di una strategia di performance management. Se invece si tratta di una organizzazione di media dimensione, potrei partire con un piano di 90 giorni o di sei mesi, sperimentando con piani di formazione su hard e soft skill. 

In tutti i casi, sarà fondamentale lavorare sulla cultura interna e fare in modo che l’onboarding diventi una pratica riconosciuta e facilitata da tutti all’interno dell’organizzazione. Parti quindi dal confrontarti con la direzione per fare in modo che la tua proposta rientri all’interno di una strategia più ampia e che, oltre ad avere successo e favorire la retention dei neoassunti, diventi parte di un cambiamento culturale compreso e promosso da tutti. Soprattutto in questi periodi in cui non ci si può stringere neanche le mani. 

 

Vorresti approfondire e scoprire come costruire un piano di Onboarding? 

Se desideri saperne di più su questo argomento puoi ri-vedere il webinar di #HR4good che si è tenuto giovedì 15 aprile: L’Onboarding come strumento di retention: tecniche di engagement online e offline.

 

 

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