La professione e il futuro del Fundraiser? Spunti dall’Assif Day 2020

Cari amici, sono passati alcuni giorni dall’Assif day di Roma e voglio condividere con voi alcuni dei punti più interessanti emersi sulla figura del fundraiser ed il percorso di carriera di questo fondamentale professionista del Terzo settore.

L’evento di quest’anno ha messo al centro il cuore seguendo 2 direttive: il gesto del dono, atto di amore verso il prossimo (e verso sè stessi), e l’amore per la professione del fundraiser che sta attraversando oggi più che mai un’evoluzione dettata dall’evolversi del mercato e degli scenari del settore.

Il Terzo Settore è chiamato sempre più a fronteggiare nuove sfide e nuove opportunità, come ci hanno ricordato Carlo Mazzini – intervenuto sulle nuove opportunità dettate dalla Riforma del Terzo settore (l’ormai famoso art. 6) – e soprattutto Eugenio La Mesa che ha fatto luce (finalmente) sullo status dell’imprenditoria sociale in Italia e sull’impact investing, portando ad esempi una carrellata di esperienze e realtà che vanno da Pedius a Made in Carcere, passando per Ridaje e molti altri casi di social entrepeneurship.

Eugenio La Mesa
Eugenio La Mesa

Il Terzo settore si trova oggi a dover ragionare su nuove logiche orientate ai risultati economici e di impatto sociale. Questo determina anche un evolversi delle professionalità e competenze richieste oggi ai fundraiser per lo sviluppo della loro azione (argomento trattato nell’intervento “Fundraiser si nasce o si diventa. Intraprendere una carriera nel non profit. La specializzazione e l’evoluzione della professione”).

Antonella Salvatore, professoressa della John Cabot University e fondatrice dell’Osservatorio Cultura Lavoro, introduce i dati di scenario sul non profit con focus sui lavoratori in Italia, sul numero dei volontari e portando dati per confrontare Italia ed Europa, con particolare accento sui giovani. Particolarmente interessante è il concetto di “give back”, che in Italia trova ancora poco riscontro tra i giovani mentre in altri paesi è un atteggiamento (quello della restituzione, del donare e del donarsi) già sviluppato tra bambini ed adolescenti. Questo gap porta ad una minore propensione per i giovani italiani di scegliere una carriera nel Terzo settore. Per le giovani leve che scelgono questo tipo di carriera la professoressa ha sottolineato l’importanza di sviluppare competenze trasversali e soft skill con passaggio dal volontariato alla professionalizzazione.

Daniele Eleodori, HR Manager di Fondazione Telethon, racconta invece la sua lunga esperienza nella Fondazione come responsabile delle risorse umane svelando il cambiamento di mentalità adottato per lo sviluppo organizzativo in questi anni da Telethon, passata da una cultura della volontà a quella dell’orientamento ai risultati. Daniele ha messo l’accento importante sul concetto di contaminazione necessario nei processi di sviluppo, e per questo ha fatto intendere che dal mondo profit si devono attingere quelle competenze in grado di portare un salto di qualità in una ONP, passando ad una gestione manageriale di processi e focus nel raggiungimento obiettivi.

Un tema questo, della contaminazione, ripreso e approfondito dell’esperienza professionale dell’ HR Business Partner di Save the Children Alessia Salta, che nel raccontare la sua esperienza nel passaggio dal profit al non profit ha evidenziato le differenze sostanziali che ci sono nel reclutare le diverse figure professionali nel Terzo settore, stimolando poi riflessioni importanti da un punto di vista HR sugli strumenti e leve per attirare i migliori professionisti. Alessia ha sottolineato l’importanza della contaminazione di competenze dal profit che possono apportare valore all’azione di fundraising.

Claudia Schininà, CSR Manager di BNL – Gruppo PNB Paribas, ha raccontato l’esperienza della storica partnership con Telethon, narrandone l’aspetto motivazionale per i dipendenti e le azioni collegate come i consolidati programmi interni di volontariato. PNB ha annunciato anche l’apertura verso altri temi sociali sui quali svilupperanno azioni di CSR in partnership con enti del terzo settore.

Diego Job4good
da sinistra: Antonella Salvatore, Daniele Eleodori, Alessia Salta, Claudia Schininà, Diego Maria Ierna

Infine è stato il momento del mio intervento, attraverso il quale ho presentato per la prima volta i dati di Job4good relativi alla domanda di lavoro di fundraiser e delle diverse specificità professionali della disciplina. Quello emerso è uno spaccato tra medio piccole e grandi organizzazioni, dove la figura risulta tanto più multitasking e meno specializzata nelle piccole, in opposizione con una sempre maggiore specializzazione verticale dei ruoli nelle strutture più grandi.

L’analisi di Job4good ha messo in evidenza la composizione della richiesta di professionisti nelle diverse aree di specializzazione e vi proponiamo le slide relative agli anni 2018 e 2019 che mostrano, sul campione di enti registrati alla piattaforma, le diverse posizioni vacanti.

Sono state varie le domande ricevute circa i dati presentati e approfitto di questo post per dare delle brevi risposte e piccoli consigli ai nostri utenti aspiranti fundraser. Il fundraising è una professione altamente qualificata e qualificante che va studiata molto attentamente nei suoi aspetti perché essa racchiude in verità un’ampia gamma di specializzazioni e competenze con diverse implicazioni per la propria carriera.

E’ infatti per noi fondamentale che si abbiano chiari tre punti all’inizio di un percorso di cariera in questo ambito:

  • La conoscenza del settore e delle aree operative del fundraising: se come obiettivo di carriera si vuol diventare un corporate partnership manager in una grande onp, è indispensabile l’esperienza in azienda (nel marketing soprattutto), proprio perché questa figura per poter svolgere al meglio la sua azione strategica deve aver chiare le logiche aziendali che sorreggono le motivazioni che rendono possibile una partnership. Stesso discorso per le aree del digital fundraising o degli eventi.
  • Consapevolezza dei livelli salariali. E’ stato detto più volte anche in questo contesto, che i livelli retributivi di un fundraiser sono bassi rispetto al mondo profit e rispetto alla media dei Paesi eurpoei per non parlare del mondo anglosassone. E’ importante avere ben chiaro questo aspetto, ed è molto importante avere in primis una forte spinta motivazionale, oltre che uno spirito di devozione e passione per la professione ed il settore.
  • Continuo sviluppo delle proprie skills: con il progresso tecnologico è sempre più evidente la richiesta di competenze tecniche digitali, ma emerge forte il concetto dello sviluppo di soft skills, che spesso vengono acquisite proprio con attività di volontariato ed esperienze sul campo.

 

 

Per concludere voglio ringraziare Assif per averci coinvolto in questo dibattito e per aver proposto in questa due giorni temi molto interessanti, oltre ad una vera e propria dichiarazione d’amore verso la professione, verso il prossimo e verso il tutto il settore.

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