I giovani e il Terzo Settore: dopo il Covid, una nuova voglia di senso (e di futuro)
C’è stato un momento, nel 2020, in cui tutto si è fermato.
Le strade vuote. Le università chiuse. I colloqui saltati. I sogni congelati.
Molti giovani, nel cuore della pandemia, si sono trovati davanti a un bivio.
Il futuro sembrava fuggire da ogni parte. E quando il mondo ha iniziato timidamente a riaprire, non tutti sono tornati alle vecchie abitudini.
C’è stato chi si è fatto una domanda nuova: “Ma io, cosa voglio davvero dal mio lavoro?”
Non solo uno stipendio. Non solo uno status.
Ma un impatto. Un valore. Un senso.
Ed è lì che tanti hanno cominciato a guardare verso il Terzo Settore.
Dopo la pandemia, un cambio di rotta generazionale
La generazione Z (e anche molti Millennials in cerca di riscatto) ha vissuto il Covid come uno spartiacque.
Il tempo forzatamente rallentato, la fragilità delle grandi strutture economiche, la riscoperta delle reti di prossimità e della solidarietà hanno lasciato un segno.
Nel pieno del caos, il Terzo Settore non si è fermato:
– Ha portato cibo alle famiglie in difficoltà.
– Ha aiutato studenti a non abbandonare la scuola.
– Ha sostenuto la salute mentale di giovani e anziani.
– Ha reinventato il volontariato in formato digitale.
E mentre molti settori chiudevano, le organizzazioni non profit aprivano spazi nuovi per accogliere giovani volontari, tirocinanti, neolaureati pieni di voglia di fare.
È stato lì che qualcosa è cambiato: il Terzo Settore ha smesso di sembrare “alternativo”.
Ha iniziato a somigliare a un’opzione concreta. Una scelta con dignità.
Le nuove motivazioni dei giovani (spoiler: non è solo idealismo)
Chi pensa che i giovani vogliano lavorare nel sociale solo per “fare del bene” si sbaglia di grosso.
Il bene da solo non basta. Serve un progetto. Una carriera. Una crescita.
Ecco perché, oggi più che mai, i giovani cercano:
✔ Valori forti, ma anche competenze forti
✔ Lavori dove contino la persona, l’ambiente, la comunità
✔ Realtà capaci di accogliere nuove idee, energie, visioni
✔ Un equilibrio migliore tra vita, lavoro e contributo al mondo
Il Terzo Settore, se sa aggiornarsi, ha tutte le carte in regola per rispondere a questa domanda latente.
I numeri lo dimostrano
Secondo i dati di Job4Good aggiornati al 2021:
– Gli iscritti tra i 25 e i 34 anni rappresentano oltre il 30% della community
– Cresce l’interesse per ruoli digitali e gestionali nel non profit
– Le candidature per tirocini e primi lavori nelle ONG sono raddoppiate rispetto al 2019
Anche i dati del servizio civile universale confermano un trend positivo: nel 2021 è aumentato il numero di giovani che vede nel volontariato una porta d’ingresso nel mondo del lavoro, non solo un’esperienza passeggera.
Il valore aggiunto: lavorare con un perché
In un webinar recente, un giovane fundraiser ha detto:
“Non mi interessa solo quanto guadagno. Mi interessa sapere perché mi alzo la mattina.”
Questa frase riassume bene il cambio di paradigma.
Il lavoro non è più solo una funzione. È identità, coerenza, contributo.
E nel Terzo Settore, tutto questo si respira.
Non sempre con la stabilità economica che si vorrebbe – questo va detto – ma con la chiarezza di sapere che ogni giorno si fa qualcosa che serve davvero a qualcuno.
Cosa può (e deve) fare il Terzo Settore per non perdere l’occasione
Se è vero che oggi il Terzo Settore può attrarre giovani talenti, è anche vero che deve prepararsi a tenerli.
Come?
📌 Offrendo contratti trasparenti e dignitosi
📌 Investendo nella formazione delle nuove generazioni
📌 Valorizzando le competenze digitali e trasversali
📌 Dando spazio alla leadership giovane
📌 Comunicare meglio chi si è e cosa si fa
Non bastano i buoni propositi. Serve una visione strategica.
Conclusione: il futuro si costruisce dove c’è senso
Il 2021 è stato un anno fragile e incerto. Ma anche pieno di germogli.
Molti giovani hanno capito che il futuro non è qualcosa da aspettare. È qualcosa da costruire. Con le proprie mani. Con la propria testa. Con il proprio cuore.
E se il Terzo Settore saprà accoglierli, accompagnarli e farli crescere, diventerà uno dei luoghi più fertili per una nuova economia, una nuova società, una nuova idea di lavoro.
Perché a volte basta una pandemia per ricordarci che la cosa più urgente non è fare carriera. È fare la differenza.