Come è cambiata la professione di addetto stampa per il non profit: intervista a Manuela Battista del Gruppo Abele

Accrescere la reputazione attraverso i media e aumentare la visibilità dell’organizzazione non profit. È questo l’obiettivo principale di un addetto stampa: promuovere la mission della Onp e veicolarne i valori.

Tuttavia la figura dell’addetto stampa è diventata sempre più multidisciplinare. Non si tratta più solamente di un giornalista, ma le sue competenze devono coprire un arco più ampio: dalla scrittura per il digitale, al social media management.

Come è cambiato, dunque, il lavoro negli uffici stampa? Che competenze deve avere un buon addetto stampa? L’abbiamo chiesto a Manuela Battista, capo ufficio stampa del Gruppo Abele. 

 

Buongiorno Manuela. Perché è importante, per un’organizzazione non profit, avere rapporti con i media?

Le organizzazioni non profit hanno la necessità di curare la propria reputazione e accrescere la propria visibilità, presso l’opinione pubblica. E in questo non c’è molta differenza con il mondo aziendale.

Più l’organizzazione non profit sarà riconosciuta e riconoscibile, maggiore sarà il peso che avrà sul piano politico e sociale. In questo senso, le sue denunce, i suoi appelli pubblici o, semplicemente, le sue iniziative culturali avranno maggiore successo.

 

Anche sul piano del fundraising?

Certo, una buona reputazione presso l’opinione pubblica può agevolare moltissimo il lavoro di chi si occupa di raccolta fondi: un’associazione con una mission chiara, ben rappresentata all’esterno, avrà più facilmente un seguito di sostenitori, che non solo simpatizzeranno per le cause dell’associazione, promuovendole e dandone maggiore risonanza, ma probabilmente sceglieranno di aiutare anche dal punto di vista economico.

 

Come è cambiata la professione rispetto a 15 anni fa, quando i nuovi media non avevano un pubblico così grande?

I nuovi media hanno polverizzato la trasmissione delle informazioni. Oggi reperire informazioni attendibili è più complicato e anche far sentire la propria voce, nel caso delle associazioni, richiede più impegno e più tempo.

Per contro vi sono nuove opportunità. Chi ha competenze e contenuti da veicolare sul web, può farlo in maniera immediata e senza intermediari. Ciò tuttavia comporta un rischio: quello di comunicare a compartimenti stagni, raggiungendo un pubblico già interessato. Insomma, si rischia di rivolgersi a nicchie.

Il grande flusso di notizie e contenuti online, porta il fruitore a circoscrivere la propria lettura a ciò che conferma e rafforza la propria idea o che gratifica i propri interessi. Questa è una sfida per noi professionisti della comunicazione: riuscire a raggiungere un pubblico che sia il più differenziato possibile.

 

Quali sono le competenze imprescindibili per un addetto stampa nel settore non profit?

Curiosità, voglia e pazienza di approfondire. Capacità di tradurre concetti complessi in comunicazioni semplici ed efficaci.

E, ovviamente, adesione alla mission dell’associazione e condivisione dei suoi valori. Sarebbe complicato comunicare valori che non si condividano.

 

Dal punto di vista della formazione, cosa non deve mancare?

Personalmente, consiglio di frequentare corsi che aumentino le proprie competenze nella produzione di contenuti digitali.

Allo stesso tempo, è importante avere dimestichezza nel maneggiare dati e informazioni, in modo da poter confezionare contenuti interessanti, per vecchi e nuovi media. 

 

Trovi che ci siano differenze con i tuoi colleghi che operano in ambito aziendale?

Non è un ambito in cui ho lavorato. Tuttavia, credo che rapportarsi con i giornalisti portando la voce di una organizzazione non profit sia più semplice. Perché si tratta di contenuti che possono interessare di più giornalisti e opinione pubblica. Insomma, sono contenuti più notiziabili.

Un addetto stampa per un’azienda dovrà sempre camminare sul filo sottile tra marketing e comunicazione. Il rischio nell’ambito non profit è, a mio avviso, minore.

 

È indispensabile essere un giornalista?

La capacità di una scrittura chiara e sintetica, indispensabili a mio parere in questo ambito, non sono esclusivi solo di chi ha studi o pratica di giornalismo alle spalle. È tuttavia vero che più ci si esercita nella scrittura, più si diventa abili. E chi meglio di un giornalista è abituato a confrontarsi quotidianamente con tempi stretti e spazi compressi entro cui esprimere efficacemente il proprio pensiero?

Perciò, se non proprio indispensabile, essere giornalisti è una buona base per lavorare come addetto stampa.

Infine, c’è un altro plus dell’aver fatto qualche esperienza da giornalista prima di passare dall’altra parte della barricata. Ogni volta che fai un recall, prepari una conferenza stampa o cerchi di promuovere una notizia sulla tua associazione, sai cosa si aspetta da te chi sta in redazione.

 

Un buon addetto stampa, deve essere anche un social media specialist? O li consideri due profili seperati?

L’ideale sarebbe che i due profili fossero separati. E coordinati da qualcuno che tiene le fila di tutta la comunicazione. Questo purtroppo non è quasi mai possibile nella maggioranza delle non profit medie e piccole (e spesso anche nel profit).

 

Cosa consiglieresti a un giovane che vuole intraprendere questa carriera?

Di appassionarsi molto a quello che la sua organizzazione fa. Di viverla e sentirsene parte integrante, così da poterla raccontare in maniera coinvolgente e trasmettendone l’anima a chi la conoscerà attraverso le sue parole.

 

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